![]() |
Elena Comerio |
Il Covid non ha solo generato isolamento, dolore, sofferenza, morti. Ma ha anche impattato pesantemente sui ragazzi, che improvvisamente si sono ritrovati privati dalla socialità, dal vivere insieme, costretti a fare lezioni a distanza, a ridimensionare i loro sogni. Un’esperienza surreale, impensabile che da un anno è terribilmente vera. E gli effetti di questo scenario cupo si stanno avvertendo nel mondo giovnaile.
Elena Comerio, consigliere delegato alle pari opportunità ne dà conto in questa sua riflessione. L’adolescenza è un momento molto particolare e delicato da un punto di vista dello sviluppo psicosociale e neurosociale. La competenza evolutiva psichica che si sviluppa nell’adolescente è la costruzione della propria identità, disdidentificandosi dai modelli famigliari acquisiti nell’infanzia per crearne dei propri, specialmente attraverso le relazioni coi pari, che diventano elemento fondamentale nel processo di individuazione e socializzazione. Inoltre, dal punto di vista neurobiologico l’adolescente, in cui è molto attivo il cervello limbico di risposta emotiva “reattiva” (attraverso l’attacco o la fuga), pian piano inizia a costituire i circuiti della corteccia prefrontale, deputata oltre che alla meta-cognizione, al problem solving e al decision making, anche all’intelligenza emotiva e sociale. Dunque la qualità delle relazioni a cui gli adolescenti sono esposti influirà sulla qualità delle loro competenze e consapevolezze sociali e relazionali (empatia, assertività, consapevolezza di sé e dell’altro, capacità di leggere le proprie ed altrui emozioni, fare scelte, prendere decisioni, gestire le proprie emozioni…), presupposti fondamentali per crescere e diventare individui in grado di muoversi nel mondo in modo attivo e responsabile. La preside e gli insegnanti dell’istituto Alessandrini ci hanno riferito che all’inizio della pandemia i ragazzi erano spaventati e, specialmente quelli più grandi, si erano dati da fare ad aiutare i docenti per preparare gli altri e la scuola nella gestione delle misure di prevenzione (disinfettanti, manifesti con le regole da rispettare…). Dopodiché il primo lockdown è giunto, e in molti sono stati investiti dalla paura della morte e dal panico, che ne consegue. Le mura di casa per molti hanno rappresentato “il luogo sicuro”, tantoché alcuni ragazzi, quando la scuola è ripresa con attività in aula, avevano paura a rientrare in presenza, spaventati dalla malattia e dalle possibili conseguenze, e rinchiusi sempre più in se stessi. Per i più fragili e per chi ha difficoltà nell’apprendimento, la DAD talvolta è stata faticosa poiché fonte di deconcentrazione. Molte famiglie hanno avuto più figli a casa in DAD, coi conseguenti disagi. Molti alunni, in diversi momenti, hanno esplicitato la voglia di ritornare tra i banchi di scuola, perché “affamati di umanità”, quella “umanità” che la tecnologia non può sostituire, sebbene sia estremamente di supporto in questo momento per evitare l’alienazione totale. Capiamo bene che se le relazioni sono prioritarie per lo sviluppo adolescenziale, questa pandemia porterà con sé conseguenze che come società dovremo essere pronti ad affrontare. Vogliamo che il Covid sia ricordato solo come un’esperienza “distruttiva” o vogliamo che i giovani possano rielaborarla rendendola quel trampolino di lancio che permetterà alla loro esistenza di acquisire un valore aggiunto? Possiamo (e dobbiamo) aiutarli a ricordare questo periodo della loro vita non solo come l’esperienza della paura, dell’incertezza totale e dell’isolamento, ma soprattutto come la possibilità di riconoscere, nell’esperienza dell’isolamento, il valore della relazione, dell’altro e del contatto, quello autentico, quello della “vera connessione”, che nella nostra “società iperconnessa” sembriamo aver dimenticato.