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Don Fabio Turba

Il parroco don Fabio Turba in una lettera aperta ai parrocchiani racconta il suo dolore per i tanti funerali (180) che ha dovuto celebrare nel 2020 funestato dal coronavirus. Carissimi! Il 2020 è stato un anno veramente difficile per tutti e per tanti motivi sto ripensando a quante volte durante quest’anno ho incontrato nella mia casa o nelle vostre case o quando non era possibile al telefono, persone che piangevano a dirotto perché avevano perso il loro caro o addirittura non avevano più visto il proprio caro perché contagiato dal virus e ricoverato in terapia intensiva non avevano potuto né vedere né abbracciare, o durante il lockdown tributargli un rito esequiale in chiesa… Mi sono trovato ad essere testimone quando rientravano le urne con le ceneri al cimitero di un gesto che mi ha sempre colpito: quando i parenti prendevano in mano l’urna era quello di stringerla fortissimamente al petto. I nipoti dicevano, straziati: nonno ti voglio bene, sei stato tutto per me. Scene che mi facevano piangere. Intime e drammatiche, di gente che voleva sostituire in qualche modo l’abbraccio che non si erano riusciti a dare prima della morte, del distacco. Abbracci come se i morti fossero ancora vivi. Credo sia un dolore terribile a cui non riesco a pensare e proprio in questi giorni delle feste natalizie vorrei essere almeno spiritualmente ed empaticamente vicino a voi che avete vissuto questa sofferenza e per cui l’elaborazione del lutto sarà molto difficile. Ho celebrato quest’anno 180 funerali (rispetto alla media dei 110 di ogni anno!) ma non mi si sento stanco di celebrare in essi la vita: mi sento responsabile ad ogni funerale di raccontare quasi la preziosità di quel defunto che ci lascia perché la sua vita con i suoi pregi e difetti è stata un dono per voi suoi cari ma anche per tutta la comunità. Così non mi stanco di annunciare una vita più alta e più vera: la vita eterna. La morte non è la fine di tutto. Non è un fallimento la vita, sarebbe un imbroglio se finisse con la morte! I cristiani non sono nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti. Hanno dunque delle ragioni per non essere tristi come coloro che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti (cfr 1Ts 4,13-14). In perfetta sintonia con la misericordia che Papa Francesco ci invita a riscoprire, esorto poi durante le esequie a liberarci dalle cattiverie, gelosie, invidie, lamentele: non vale la pena di mettere veleno nei rapporti con gli altri ma di approfittare del tempo presente per una parola, un abbraccio, un perdono per non avere rimorsi e rimpianti quando la morte ci separa. Davanti alla morte non puoi scherzare. Non è qualcosa su cui si mette facilmente una pietra. Dobbiamo essere di più attaccati alla vita, che è unica e preziosa e viverla nella sua pienezza. Carissimi prego affinché chi ha subìto questo terremoto ritrovi un poco di fede. Ricordatevi che avete anche un’anima da alimentare. Come un sacco vuoto non sta in piedi, bisogna nutrire anche l’interiorità. Se porto il Signore dentro, riesco a portare meglio anche la croce. Il Paradiso comincia da qua. Sono convinto che inizia su questa terra quando viviamo in pienezza l’amore. Quando circola l’amore, tu vivi in Paradiso. Come ho detto nelle mie omelie nel giorno di Natale la precarietà che noi viviamo oggi ci riporta con i piedi per terra e ci ricorda che abbiamo tutt’ora bisogno di salvezza. Direi anche che ci ricorda che c’è una differenza tra una salvezza puramente fisica e una salvezza più profonda che riguarda anche il senso della vita e il destino finale di ognuno di noi. Gesù Cristo è venuto a portare questa salvezza. Certamente gli sta a cuore anche la nostra vita fisica e la nostra salute, ma a volte ho l’impressione che ci sia più attesa messianica nei confronti del vaccino che nei confronti di Gesù Cristo. Quindi di nuovo tendiamo a deragliare a livello di pensiero e a non comprendere la differenza tra il prolungare la vita e l’avere una vita vera e autentica in Cristo Gesù. Io credo che per chi è cristiano il Natale ci parla di un Dio che si fa uomo, che può condividere la nostra vita perché la vita è fatta di momenti belli, ma anche di difficoltà, tensioni, gioie e di speranze. Come cristiani dobbiamo chiedere al Signore che ci aiuti a capire la sua presenza in questa situazione. Questa è la vera sfida, una grazia che io chiedo per noi tutti, che il Signore ci aiuti a cogliere la sua presenza anche in questa fatica e in questa difficoltà per essere uomini e donne davvero di speranza. 

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